SINTESI
DI “CONTRONATURA” –
di
DARIO BRESSANINI e BEATRICE MAUTINO
Il libro affronta il
tema delle biotecnologie applicate all’agricoltura, dando voce agli attori del
settore mediante dei reportage sul campo. Tratta quindi di cibo: grano, olio,
soia, carote, colza, mele e riso.
Inizia con il
parlare di mode alimentari che impazzano sul web, propugnando cibi salutari e
antichi, sulla scorta di un sentimento di ostilità nei confronti di qualsiasi
manipolazione della natura, dimenticando che l’agricoltura in sé è CONTRONATURA:
“L’agricoltura.. indipendentemente
dall’immaginario bucolico e naturale che si porta dietro, è un contesto
artificiale che mette i bastoni fra le ruote all’evoluzione e cerca di
dirigerla”.
Partendo dalle accuse
di ipocrisia che il fisico Tullio Regge, dalle pagine di “Le Scienze”, mosse nel 2000 nei confronti dello stato italiano che
vieta la coltivazione di piante OGM ma non ha remore verso piante i cui semi
sono stati mutati per trattamento con raggi gamma (l’ironia di Regge mirava ad
assolvere gli OGM dalle accuse di essere pericolosi come non lo sono i semi
irraggiati), il libro passa in rassegna la storia
dei grani. Illustra quindi gli esperimenti di incrocio (una novità rispetto al selezionismo allora in voga come tecnica di breeding) del padre di
tutti gli agronomi italiani, Nazareno
Strampelli, incaricato negli anni ’30 dal duce di trovare varietà di grano
sufficientemente produttive da soddisfare le necessità della popolazione
italiana e creatore dei grani teneri
nani e precoci e del grano duro
Senatore Cappelli, così chiamato in omaggio ad un amico senatore che gli
concesse i suoi campi per gli esperimenti.
ENEA – Campi gamma, Casaccia - Roma |
Traccia poi la nascita del grano CRESO, iscritto nel registro
varietale nel 1974, ottenuto da un mutante del grano Senatore Cappelli (il mutante
B144, derivante da irraggiamento dei semi con cobalto radioattivo nei
laboratori ENEA della Casaccia, a Roma) incrociato con una varietà messicana.
Il Creso segnò un grandissimo progresso per l’elevata produttività, la bassa
taglia che preveniva l’allettamento del grano e la buona qualità pastificatoria
per cui si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Esso è oggi messo sotto
accusa da parte dei sostenitori delle diete
Gluten free, in quanto ritenuto responsabile di scatenare la celiachia.
Questa patologia negli ultimi 50 anni è effettivamente aumentata dall’1 per
mille all’1 per cento nella popolazione, a prescindere dal miglioramento delle
tecniche diagnostiche. Gli autori, con una disamina ragionata, dimostrano sulla
base degli studi scientifici condotti sinora, l’infondatezza di questa accusa; inoltre,
poiché non tutti i soggetti predisposti sviluppano la malattia, essi elencano una
serie di possibili fattori scatenanti attualmente oggetto di studio: inquinamento,
ambienti asettici, riduzione della pratica di allattamento al seno, aumento del
consumo di glutine, OGM, pesticidi, additivi alimentari, etc.
Il testo sfata anche
alcuni miti su presunti grani antichi
(tra cui si annovera, a torto, il Senatore Cappelli), ritenuti grani superiori
a quelli moderni in quanto non modificati dall’uomo per aumentarne le rese o
contenenti una minore percentuale di glutine. Gli autori sottolineano che
l’unico grano antico circolante è il farro monococco, che le percentuali di
glutine non sono significativamente mutate nel tempo (studi di David Kasarda) e che alcuni grani
antichi possiedono un numero di epitopi dannosi maggiore di quelli moderni. Ciò
che è cambiato è piuttosto l’esposizione
sempre agli stessi epitopi, a causa delle poche varietà commerciali di grano circolanti.
Viene poi narrata la
storia della mutazione casuale che cambiò il colore delle carote da viola (come riscontrato in dipinti antichi)
ad arancione e della recente ricomparsa di carote viola sugli scaffali dei
supermercati.
Segue la vicenda dell’olio di girasole alto-oleico adatto
alla frittura (cioè ricco di acido oleico monoinsaturo piuttosto che dei
consueti acidi grassi polinsaturi i quali, abbassando la temperatura di fumo, lo
rendono inadatto alla frittura), ottenuto per mutagenesi dei semi, presente
sulle nostre tavole e quella dell’olio
di soia alto-oleico con le stesse caratteristiche, ma ottenuto silenziando
il gene che introduce la seconda insaturazione sull’acido grasso con tecniche
di ingegneria genetica, la cui commercializzazione in Europa è, invece,
vietata. Gli autori sottolineano il differente approccio legislativo in Europa ed in Canada in materia di Novel Foods: in Europa si guarda alla
tecnica con cui essi sono prodotti mentre in Canada si valutano solo le
caratteristiche qualitative e di sicurezza del cibo finale, a prescindere da
come è stato ottenuto. L’iter di approvazione di cibi OGM in Europa,
disciplinato dalla direttiva Europea
18/2001, è talmente lungo e costoso da essere appannaggio esclusivo delle
multinazionali. Una vera anomalìa europea è che cibi ottenuti per mutagenesi
fisica o chimica o per fusione cellulare che, nel senso scientifico del termine,
sono pure cibi geneticamente modificati, “per legge” non sono classificati come
tali. Un altro esempio simile a quello dell’olio, è quello dei frumenti
resistenti ad un diserbante: se ottenuti per mutagenesi-incroci (Clearfield)
possono essere coltivati in Europa senza clamori, mentre se ottenuti grazie a
tecniche di ingegneria genetica sono fortemente osteggiati dalle associazioni
ambientaliste. Perché, si chiedono gli autori, tanta diffidenza nei confronti
dell’ingegneria genetica applicata al settore dell’agricoltura, nonostante gli
studi condotti in 30 anni abbiano chiaramente dimostrato che gli OGM non siano
di per sé più rischiosi di cibi ottenuti con tecniche convenzionali di breeding?
Forse, suggeriscono, l’aver imparato non solo a leggere le istruzioni della
vita ma anche a scriverle genera il timore che l’ingegneria genetica possa
sfuggire al controllo politico e sociale con conseguenze imprevedibili. Ma deve
esserci dell’altro. Tale timore si può, infatti, dire superato nell’ambito
delle applicazioni biomediche degli OGM
(esempio: produzione biotecnologica di insulina) laddove gli scienziati sono
riusciti a convincere l’opinione pubblica che i benefici da esse derivanti sono
di gran lunga maggiori dei possibili rischi. Tra l’altro, le aziende
biotecnologiche, usano strategie molto raffinate per aggirare i vincoli posti
dalla legislazione: “Cibus genetics”, per esempio, in luogo di inserire
“transgeni”, ha prodotto una colza rossa
usando la tecnica dell’editing genetico… La rigida regolamentazione degli OGM
schiaccia di fatto anche la possibilità che Università e Centri di Ricerca pubblici
possano utilizzarli per risolvere problemi legati alle produzioni locali.
Nel capitolo “Nessun
dorma” viene sottolineato come la guerra tra parassiti e piante è sempre in
corso e disporre di tecnologie del DNA ricombinante che permettono il rapido
trasferimento di geni di resistenza da piante selvatiche a piante coltivate, in
luogo di lunghi programmi d’incrocio, è un’immensa opportunità che sarebbe
sciocco lasciarsi sfuggire.
Poi è la volta del riso e gli autori evidenziano altre
anomalìe legislative: la L. 325/1958
consente di raggruppare risi di qualità diversa all’interno della stessa
categoria, in base all’impiego culinario cui sono destinati. Come dire che una
scatola di riso che porta la dicitura “Carnaroli” può contenere specie molto
meno pregiate; una riseria può acquistare a basso costo il “Carnise” e
rivenderlo come “Carnaroli”: altrove sarebbe frode in commercio, in Italia ciò
non avviene. Ancora più sorprendente la vicenda dei risi biologici prodotti da
un solo agricoltore ma rivenduti da numerose riserie che se ne dichiarano
produttori in proprio, con rese più elevate delle coltivazioni tradizionali che
è un assurdo logico, vista la presenza in campo di erbe infestanti e l’uso
ridotto di pesticidi. Per finire, risi tradizionali che nelle riserie entrano
nella filiera del biologico e vengono rivenduti a prezzo triplo.
Infine gli autori ci
parlano di mele che necessitano di
ripetuti trattamenti contro i parassiti, pertanto la mela “bio” non esiste. E
sulle mele l’Italia, che vantava un primato di ricerca agli inizi del 2000, ha
visto spegnersi l’ennesima occasione di innovazione e sviluppo: il prof. Silviero Sansavini ed il suo gruppo di
ricerca presso l’Università di Bologna, avevano prodotto una mela cisgenetica
(prelevando il gene da una specie sessualmente compatibile), resistente alla
ticchiolatura e, per precisa scelta ideologica, esente da brevetto. Purtroppo
il governo (e il ministro Pecoraro Scanio) non concesse il permesso della
sperimentazione in campo e le ricerche furono proseguite con successo dagli
olandesi.
In conclusione, qual è il “miglior bio”?
In accordo a Sansavini,
Tartarini, Massimo Biloni e Francesco Sala, gli autori concludono che “il miglior bio è OGM”. Solo così
potrebbe essere del tutto evitato l’uso di erbicidi e pesticidi.